LE CITTA’ INVISIBILI. BERLINO

Lo studio dei monumenti della città e l’interpretazione compositiva delle architetture antiche e moderne costituiscono un primo passo per l’indagine del fenomeno architettonico in funzione di una sua concreta operatività. Seppur le città abbiano avuto destini diversi in relazione agli episodi della storia, i frammenti, le tracce, le macerie dei monumenti permangono ad indicare il valore collettivo dello spazio urbano ed il ruolo dell’architettura nella costruzione della città stessa.

Gli ultimi 150 anni di storia di Berlino contengono una straordinaria densità di eventi traumatici: assunse il ruolo di città capitale, con un conseguente notevole incremento di dimensioni, venne mutata in città industriale, visse l’esperienza del Terzo Reich, venne distrutta dalla guerra, occupata, smembrata e divisa in due unità urbane distinte che rappresentavano un sistema (ideologico, politico, economico, sociale, militare) contrapposto all’altro. In una città sola si confrontavano perciò le due metà del mondo: il socialismo ed il capitalismo.

Troppi eventi troppo rapidi e violenti per non far smarrire l’identità e non far confondere le prospettive sul futuro di una città così giovane.

Città che ha vissuto una molteplicità di avvenimenti, segnando una discontinuità in campo politico, intellettuale ed artistico, e determinando poi una trasformazione nell’architettura e nell’urbanistica. Se altre identità urbane come Parigi, Londra o Vienna vissero un passaggio essenziale già nel XIX secolo, Berlino non fu in grado di viverlo, lasciando in questo modo un’eredità negativa cui si cercò di porre rimedio attraverso una prima stagione di concorsi e progetti per le aree centrali e per la “Berlino Capitale”. Molte di queste vicende progettuali dimostrarono Berlino come città della sperimentazione, che ha forse nella propria labile identità urbana la possibilità di non presentarsi come un caso a sé stante, ma che potrebbe essere inteso come uno strumento operativo all’interno di una casistica di esempi e strategie compositive applicabili altrove.

Non esiste infatti altra metropoli la cui sostanza architettonica sia formata da così tanti strati invisibili di pianificazione non realizzata come a Berlino: l’architettura non costruita compone qui una città invisibile, più grande e culturalmente più ricca di quanto sia mai stata quella visibile. La città ha vissuto in più momenti stagioni di concorsi e progetti per le aree centrali, in un primo momento per rafforzare l’identità urbana nel tentativo di resettare la sua origine di città doppia (nata dall’unione di più villaggi); in un secondo momento per cancellare quella separazione durata circa trent’anni e che determinò uno sdoppiamento e uno slittamento dei due centri della città capovolgendone la struttura urbana. Anche se la pianificazione degli anni ‘50 sembrava non tener conto di tale divisione (basti ricordare il concorso per la Berlino Capitale del 1958) , tale divisione divenne fisica con la costruzione del muro. È quasi inevitabile allora che il centro originario si presenti come uno spazio vuoto pieno di progetti, e molteplici sono le ragioni storiche per spiegare tale assenza: le distruzioni subite nel corso della seconda guerra mondiale, la divisione della città, il distacco da Berlino Ovest della sua parte storica più significativa, la costruzione nel 1961 del muro.

Con la costruzione del muro venne ulteriormente ad accentuarsi una tendenza già presente nello sviluppo urbano, ovvero la predilezione di un asse “orizzontale” est-ovest prevalente rispetto ad un orientamento “verticale” nord-sud: va in questo senso ricordata, nell’ambito del piano di riorganizzazione della capitale predisposto dal nazionalsocialismo, la proposta per la costruzione di questo asse mancante, una sorta di via triumphalis di collegamento tra due nuove stazioni ferroviarie, in una successione di spazi culminanti nella Grosse Halle, gigantesco edificio a cupola. Progetto, questo, il cui tracciato era già stato individuato nella prima metà del XIX secolo da Schinkel e Lennè, e successivamente nel 1919 da Martin Maechler, con un collegamento fra il Lehrter Bahnhof, Platz der Republik e il Landwerkanal.

Con la divisione, perciò, il centro di Berlino est mantenne il nucleo storico della città, seppur gravemente danneggiato, mentre quello di Berlino ovest slittò oltre la fine del Tiergarten, il grande parco urbano che geograficamente assunse il ruolo di centro, rappresentato appunto da un vuoto.

La grande stagione di concorsi e progetti che si aprì nel 1989 con la caduta del muro pose di fatto il problema della ricostruzione del centro storico, sia in termini di riconnessione da un punto di vista urbano, che di confronto con quanto rimaneva dei monumenti.

Un primo concorso fu il “Berlin Morgen” del 1990 (quindi immediatamente successivo alla riunificazione della città), in cui ci si dovette confrontare su cosa fare e come trattare il sedime del percorso del muro. Successivamente, nella prima metà degli anni ’90, arrivarono i concorsi dello Sprebogen (per la costruzione di uffici e palazzi amministrativi nell’ansa della Sprea adiacente al Palazzo del Reichstag e vinto da Axel Schultes grazie alla proposta di una strip, vero e proprio nastro costituito dagli edifici e che di fatto riconnetteva le due parti separate della città); e altri concorsi per il ripensamento della Spreeinsel (area comprendente il sedime del Berliner Schloss, il Castello, e la sottostante parte dell’isola della Sprea) e per la ricostruzione della Museumsinsel (tutta l’area comprendente l’Isola dei Musei e i musei stessi, vinto questo in una prima fase da Giorgio Grassi poi da David Chipperfield). Infine, in anni più recenti, il concorso per la ricostruzione del Castello vinto da Franco Stella e l’ipotesi di ricostruzione anche della Bauakademie di Schinkel adiacente al Castello.

Confrontando sia questi concorsi che gli architetti che vi parteciparono, si potrebbe costruire delle Berlino ideale di Giorgio Grassi o di Aldo Rossi, di Hans Kolhoff o di David Chipperfield, incrementando ulteriormente questa sostanza di architettura progettata e che potrebbe costituire Berlino altre da quella realizzata, date dall’unione di schegge di idee forse di più ampio respiro rispetto all’edificio o all’isolato effettivamente costruito.

Si deve perciò parlare di un luogo in cui elementi e frammenti architettonici dialetticamente opposti si sono trovati a coesistere uno accanto all’altro, contraddicendosi o integrandosi a vicenda, pur continuando ad arricchire il tessuto urbano e culturale della città.

Se questo avviene a livello urbano, a livello architettonico il tentativo sembra essere quello di evitare che le edificazioni dei nuovi manufatti nella aree ancora libere avvenga del tutto occasionalmente. La ricerca di “forme nuove” si è svolta all’interno del singolo manufatto, marcando una distanza sempre maggiore dalla storia dell’architettura e della città: l’architettura si pone in termini di ars combinatoria, avvalendosi della memoria del monumento come punto di partenza per la ricostruzione della città e come strumento identitario collettivo.

La città si pone non come un insieme uniforme, ma come collezione di parti di isolato o di monumenti, “monumentum memoriae”, testimonianze del passato che assumono quanto rimane del senso del luogo: la storia costruita di un luogo diviene tema e materia per la ricostruzione, mentre il monumento diviene polo attrattore, in cui il frammento assume maggior valore della rovina e diviene strumento progettuale. Il monumento costituisce momento di riflessione e pretesto per il concorso, in cui necessario è scoprire il valore dell’esistente al fine di interpretarlo, definirlo e ricomporlo in un’idea globale che riunisca passato, presente e futuro nella e della tradizione, proponendo un’idea di città determinata dalla coincidenza degli opposti.

Attraverso la trasformazione, ciò che è storia viene separato dalla nostalgia e riconquista il presente.

Sembra scrivere a proposito Italo Calvino, ne Le città invisibili: “Anche io ho ideato un modello di città, dal quale faccio derivare tutte le altre. È una città che si compone unicamente di eccezioni, esclusioni, opposizioni, controsensi”.

Author

Camilla Donantoni
Architetto libero professionista, con esperienza nel settore del retail e dell'architettura degli interni. E' Dottore di ricerca in Composizione Architettonica, titolo conseguito presso l'Università Iuav di Venezia, dove si è laureata con lode e svolge attività di collaborazione alla didattica e alla ricerca. Nel 2015 ha conseguito un Master in Architettura Archeologia e Museografia presso l'Accademia Adrianea Onlus, per la quale svolge ora l'attività di tutor nel workshop Berlin Museumsinsel. La sua ricerca predilige il campo della Composizione Architettonica e degli Interni, con particolare attenzione al rapporto fra nuovo e antico, fra costruzione e conservazione.

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